Tramandato per secoli come la Domus Regia, la prima residenza di re Ruggero II, l’Osterio Magno, dal latino hosterium cioè palazzo fortificato, è stato edificato nel XIII sec. ad opera della nobile famiglia Ventimiglia del Maro, marchesi di Geraci e principi di Castelbuono.
Utilizzato come dimora invernale, l’Osterio Magno comprendeva in origine altre pertinenze e giardini, estendendosi per una superficie molto ampia che contava svariate fabbriche, diverse sia per epoca di costruzione che per stile architettonico. In un disegno di autore ignoto risalente al XVI sec., un brandello di una carta topografica più estesa ritrovata durante degli interventi di restauro, è possibile distinguere l’Osterio Magno con la sua alta Torre, ad angolo tra Corso Ruggero e Via G. Amendola, al centro di due grandi edifici che delimitavano uno spazio aperto dove è raffigurato un pozzo. Una grande arcata sulla strada collegava l’attuale complesso agli edifici di fronte (ad oggi sede dell’ufficio turistico) dove erano allocate le cucine ed i locali di servizio.

Il palazzo rimase ai Ventimiglia fino al 1599, anno in cui Giovanni III Ventimiglia lo vendette al cefaludese Simone da Fiore. Alla morte di quest’ultimo, nel 1605, gli eredi lo cedettero ai frati del vicino Convento di San Domenico che a loro volta lo concessero a diversi enfiteuti (l’enfiteute gode del dominio su un bene altrui pagando al proprietario un canone) che lo riadattarono secondo le loro esigenze in abitazioni, botteghe, magazzini e persino in carcere. In possesso dei Ventimiglia era anche l’edificio denominato Osterio Piccolo, di cui è ancora possibile osservare la torre, con la sua bifora, inglobata nel campanile dell’attigua Chiesa di Maria SS. Annunziata in Corso Ruggero. In occasione di un restauro concluso nel 1988, delle esplorazioni archeologiche ad opera del Prof. Amedeo Tullio hanno portato alla luce, al di sotto dell’Osterio Magno, un complesso abitativo di età ellenistico – romana ed alcuni reperti litici, tra cui una grande giara contenente delle monete di bronzo databili alla fine del IV sec. a.C. ed una grande cisterna scavata nella roccia, ad oggi ancora perfettamente visibile nella sala al pianterreno dell’edificio. Di epoca normanna sono le mura alla base della Torre angolare. Svariati studi hanno cercato di datare più precisamente l’intero complesso ma non vi è alcuna notizia certa al riguardo. Il nucleo più antico viene individuato nel palazzetto “bicromo”, così definito per via dell’architettura che lo contraddistingue, a fasce orizzontali alterne chiare e scure di tufo e pietra lavica, dove si conservano due eleganti bifore ben visibili dall’esterno dell’edificio in Via G. Amendola, testimoni dello splendore di cui doveva godere il palazzo all’epoca.

Un’ultima fase costruttiva si fa risalire all’elevazione della Torre, avvenuta nei primi decenni del 1300, con il suo sviluppo su tre piani in altezza e un coronamento con merlature a difesa piombante, ben visibile nel disegno ed oggi non più esistente.